Appunti di Daniele Ruggeri su “SCRITTO DI NOTTE” di Ettore Sottsass
(Seconda edizione Adelphi, Milano, Maggio 2010)
È un libro meraviglioso, nel quale l’Autore, Ettore Sottsass, si rivela (forse) in modo sincero. “Forse” perché lo dice lui stesso nella premessa: nella quale scrive che “tenere in mano il suo libro, è (forse), tenere tra le mani un uomo nudo” o quasi.
Sottsass si racconta in questo libro a partire dai suoi ricordi d’infanzia, un’infanzia trascorsa coi genitori sulle montagne, dove “il problema dell’intelligenza non c’era”, dove i maestri non parlavano mai di un bimbo poco intelligente ma solo di uno che non si applicava abbastanza; dove la vita era difficile per tutti ma piena di speranza. Una giovinezza che si è dovuta scontrare con il cambiamento brusco di una nuova vita a Torino, nella quale gli sono state imposte le famose “nozioni di base”, che come l’autore scrive non si sa mai chi è a deciderle.
Leggendo questo libro si può davvero conoscere Sottsass nell’intimo, e la parola (forse) che lui premette inizialmente sembra scomparire pian piano. Si può conoscere un uomo semplice, sincero e capace di ammettere i suoi errori (quando per paura è stato vigliacco lui non ha vergogna nell’ammetterlo), e la sua vita libera sembra essere perfetta anche per la sua formazione. Una delle espressioni che ho trovato più sincere è stata quella detta dall’autore a Fernanda dopo il matrimonio, quando lei gli aveva chiesto “perché piangi?” e lui gli aveva sinceramente risposto che “gli era entrato in testa il pensiero che da quel momento doveva vivere con lei tutta la vita”.
Lui nasce in una famiglia perfetta per un Architetto e Designer, infatti suo padre era Architetto (anche se come racconta lui di vecchio stampo) e il nonno (padre della madre) era un antico falegname che costruiva mobili. Pare anche che la sua prima parola sotto l’albero di Natale sia stata “wie Shòn!” ovvero “che Bello!”, che era stato il primo di una lunga serie di suoi giudizi estetici.
Crescendo ha potuto imparare molto dai mestieri dei suoi familiari, ma la sua capacità di osservare il mondo lo ha portato anche ad un altro grande amore: la Fotografia. Forse era stato l’unico ad avere il coraggio di portare al collo in guerra una Leica! Fotografava di tutto in guerra, ma anche dopo la guerra ha continuato a farlo, come nei suoi viaggi con Barbara quando in America scattava le foto in montagna seguendo i cartelli “Photo Opportunity” che indicavano la bellezza di particolari panorami.
Il suo grande spirito di osservazione gli dava anche la capacità di descrivere luoghi visitati anche solo per vacanza in modi unici; chi ha mai descritto l’India in modo migliore di lui? Io la trovo meravigliosa questa descrizione: “l’India è stata fantastica .. è passata adagio adagio, come le donne che camminano dritte con pacchi sulla testa, tra colori tristi e sgargianti, alberi un po’ secchi grigio pallido e ruderi di immense utopie, imperi, regni, programmi vasti e miserabilità totali. È il posto dove si usano meno alibi, dove si sta meglio, dove si è sempre giocato a carte scoperte”.
O chi ha mai descritto meglio dei modi di fare italiani? “non c’è dubbio che le estati italiane sono estati di famiglia: sono spostamenti statici di case, di asili, di cucine, di lavanderie, non sono momenti di viaggio o scoperta o avvenimenti di cultura”.
Osservava tutto, anche in guerra. Della guerra ha raccontato la cattiveria dei fascisti, le lunghe attese e i bombardamenti, ma soprattutto il suo odio per l’autorità. Uno spirito libero come il suo non poteva sopportare il sistema piramidale dell’esercito, ed è per questo che racconta di averlo voluto scalare per salirne ai vertici. Preferiva stare al comando, ma non per comandare come gli altri, semplicemente per essere libero. Ed era per lo stesso motivo che odiava le Guide, racconta che le detestava perché costringono la gente a guardare e a sapere quello che loro pensano di dover far guardare alla gente e sapere, e tirano tende opache su tutto il resto. Un po’ come per la questione delle nozioni di base.
Ogni tanto per decidere da solo le sue nozioni di base preferiva avere maestri speciali, non di scuola ma di vita, come il pittore Spazzapan: lui lo seguiva perché aveva capito che “stava a lui guardarlo, leggerlo e rubargli qualcosa, perché quel qualcosa poteva diventare parte di lui, e lui del mondo”.
Una delle cose più belle che ho scoperto di Sottsass è stato che lui aveva imparato a disegnare a circa cinque anni, e “teneva la matita stretta nel pugno come un’arma di difesa contro il vuoto dello spazio sconosciuto”. Mi ha fatto piacere saperlo, perché provo la stessa sensazione ogni volta che voglio iniziare un progetto: quando il foglio è bianco, prima di iniziare precisamente, mi sembra come uno spazio vuoto che un po’ spaventa. Poi con la matita in mano tutto cambia.
Quando Sottsass aveva iniziato a disegnare lo aveva fatto anche perché aveva osservato suo padre farlo nel suo studio e pensava che “il silenzioso balletto col quale suo padre lasciava segni lo rendesse speciale, unico” ed anche lui voleva farlo. Col tempo poi ha scoperto che i segni erano sì le righe e i punti che suo padre lasciava nel disegno tecnico, ma potevano esserlo anche le parole, gli spazi silenziosi, ed i rumori, suoni e canti.
Fu questa “scoperta” che spinse Sottsass a leggere, “leggere moltissimo” come lui racconta. Apprezzo molto questa sua qualità, non tutti gli architetti la possiedono, non tutti sono capaci di utilizzare le parole come segni nello stesso modo in cui lo ha fatto lui. Ricordo di aver letto che gli era venuta voglia di scrivere anche in guerra, ma quella volta voleva farlo senza punteggiatura, senza né virgole né punti, appositamente, per mostrare lo stato d’animo che provava in guerra, ansia paura, in un tempo che si perde e non si capisce quando ha inizio e fine.
Credo che la qualità più bella che possedeva Sottsass sia stata la curiosità, leggendo mi sono reso conto che molte cose che col tempo lo hanno reso bravo, diverso, unico, particolare, siano nate osservando il mondo intorno. La curiosità è una qualità che Dio ha donato a tutti da piccoli, il problema è che crescendo molti la perdono, ma lui non l’ha fatto mai.
Era grazie al suo spirito di osservazione che poteva sapere che “Spazzapan quando dipingeva teneva il braccio disteso, e anche il pennello era tenuto come se fosse una continuazione del braccio”.
Lui guardava il mondo, ma anche le persone che lo popolano: vedeva che “le ragazze vogliono il posto dei maschi mettendo i jeans e fumano, che i bancari per sembrare banchieri vestono di scuro con lo spacco dietro la giacca e la camicia azzurra e la cravatta sobria e una borsa in mano, e che lui per sembrare architetto doveva essere tra il bancario e l’artista, ovvero come il bancario ma non per forza col vestito scuro, ma vagamente sportivo”. Il suo spirito di osservazione mi ha stupito.
Il suo spirito di osservazione lo portava a disegnare molto, e più disegnava più era bravo. Gli veniva spontaneo disegnare anche per i progetti di architettura da studente, ma questo non sempre era visto di buon occhio, infatti lui stesso racconta di essere stato chiamato in modo dispregiativo “artista”. Ma la cosa che non capivano quei professori è che “disegnando vengono le idee”, o forse lo sapevano ma erano gelosi del suo talento.
Una cosa che mi ha fatto molto piacere scoprire è che Ettore tifava Juve proprio come me, quando era a Torino la domenica andava volentieri a vederla giocare.
Una passione che gli ha permesso di dire, nei confronti della sua amata “Ceramica” che “è una materia affascinante perché in essa tutto è movimento, un po’ come nella vita, un po’ come nel calcio”.
Un’altra cosa in comune che ho scoperto di avere con Sottsass è l’apprezzamento per Le Corbusier: lui vedeva le fotografie delle architetture di Le Corbusier come “aria ossigenata più l’inaspettato salvataggio dal sottomarino affondato”.
Lui a Torino ci girava in bicicletta, tranne la domenica quando per festeggiare suo padre gli regalava i famosi biglietti del tram che lui da “collezionista povero”conservava per tentare di fermare il tempo. La bici l’aveva costruita lui stesso, era il suo primo pezzo di design, nei colori del nero e argento, colori che aveva appreso da “eleganti libri francesi”. Altri suoi ricordi di progetti di design che allora non avevano funzionato erano state delle cornici da fare in plastica. A quei tempi si facevano solo in legno, mentre oggi nessuno pensa male di una cornice in plastica, lui l’aveva già pensata da ragazzo.
È stato curioso scoprire che Sottsass aveva conosciuto in modo particolare molta gente famosa; ero sicuro che avesse incontrato nella sua meravigliosa carriera altri uomini di successo, ma di certo non mi aspettavo che li avesse conosciuti dalle sorelle Pirovini, donne che aiutavano il prossimo con cene a poco prezzo. Lìha conosciuto addirittura Munari, Manzoni, e molti altri ancora! Tutti prima di diventare famosi, come lui a quei tempi.
Quest’anno prima di leggere questo libro, a design abbiamo visto foto di mostre di Sottsass per Memphis sul laminato plastico, è stato bello poi riviverle nel libro dal punto di vista dell’autore: racconta che era il settembre del 1981, a Milano, e “i temi erano quelli del laminato e colori più e meno vivaci, che si rifacevano un po’ alle esperienze pop”. Secondo Ettore Sottsass quei nuovi disegni erano “il tentativo di proporre una nuova intensità, di comunicare emozioni, informazioni, di usare più aromi, di mettere più sapore al design che ormai sapeva troppo di cartone”. Ma naturalmente al salone del mobile di Milano non tutti erano riusciti a capire questi buoni propositi.
Ciò che mi resta di più di quest’uomo non è comunque la sua bravura di architetto o di designer, che prima di leggere questo libro già apprezzavo molto. Ora quello che apprezzo ancora di più è il Sottsass uomo, perché è curioso, creativo, ma soprattutto come lui stesso dice un “amico della gente incerta, perplessa, modesta che cerca di capire e che sempre è nello stato di uno che non ha capito. Uno molto amico della gente che ha paura”.
Sono felice di averlo finalmente conosciuto, ed ho capito che c’è tanto da imparare da un uomo come lui.
Daniele Ruggeri
Milazzo (ME) 07/09/2011